Approfondimenti

Correzione dell'alluce valgo: perchè preferisco la chirurgia "tradizionale" rispetto alla "mini-invasiva" o percutanea.

Alcune considerazioni personali

In questi ultimi anni ha preso via via piede, crescendo in modo esponenziale, l'uso di una tecnica chirurgica, che è stata definita con il termine molto accattivante (e a mio avviso improprio) di “chirurgia mini-invasiva”, proposta per la correzione dell'alluce valgo.
Il web si è scatenato, migliaia di siti sono spuntati come funghi, sono comparsi improvvisamente tantissimi nuovi esperti di chirurgia del piede, tanta voglia di rottamare la chirurgia tradizionale, tanta fantasia e tanto business.
Alla luce di 30 anni di attività come chirurgo ortopedico, dei quali più di venti dedicati esclusivamente alla chirurgia del piede, rimango fedele ad una chirurgia che chiameremo “tradizionale” e che, a mio avviso, permette maggiori garanzie di un buon risultato, soprattutto, funzionale oltre che estetico. Inoltre, se ben eseguita, non è dolorosa, è meno traumatica in fase di intervento ed è più facilmente gestibile dal paziente. 
Nella chirurgia “tradizionale” non esiste una sola tecnica chirurgica ma sono contemplate numerose varianti, più o meno diverse, utilizzate per la correzione di questa deformità.
La correzione dell'alluce valgo richiede generalmente una sezione dell'osso 1° metatarsale, detta genericamente osteotomia, che permette di ri-orientare la parte articolare dello stesso, correggendo la deformità e rendendo congruente l'articolazione; a questa si associa generalmente un bilanciamento capsulo-legamentoso e una sintesi (interna od esterna a seconda della tecnica) per evitare di perdere la correzione nell'attesa della consolidazione che avviene con la formazione del callo osseo.
A mio parere i requisiti fondamentali su cui si deve basare una correzione chirurgica dell'alluce valgo sono:
1) Incisioni precise e nette della cute e dei tessuti profondi; queste sono meno necrotizzanti e la cicatrizzazione è più fisiologica.
2) Assoluto rispetto dei tessuti che non devono essere trazionati, soprattutto la cute e il sottocute per evitare danni ischemici, ma anche di quelli profondi (vasi, nervi, tendini) che devono essere visti e protetti durante l'intervento per evitare lesioni degli stessi.
3) L'osteotomia deve essere precisa, praticata nel punto giusto e fatta con una lama rigida e sottile che non asporta osso (provocherebbe accorciamenti); la direzione con cui si esegue questa sezione deve permettere inoltre di orientare con precisione la dislocazione in base alla correzione che si vuole ottenere. I tagli netti senza surriscaldamento dell'osso favoriscono inoltre i fenomeni riparativi.
4) La dislocazione dell'epifisi del 1° metatarsale deve avvenire in modo da: correggere l'asse del primo raggio, mettere bene in carico il 1° raggio sul terreno (necessario nel 90% dei casi), correggere la rotazione, rendere congruente l'articolazione metatarso-falangea e preservare o migliorare il movimento articolare.
5) La correzione fatta sull'osso rende inevitabilmente questa “frattura artificiale” instabile, quindi bisogna sintetizzarla con viti o fili metallici (KW) per ridurre al minimo il rischio di una perdita di correzione, il posizionamento della sintesi deve essere fatto in modo che questa dia stabilità e non sia articolare; la stabilità finale data dal callo osseo si avrà solo dopo 30 giorni. 
6) Correzione finale per bilanciare le parti molli eseguendo una plastica capsulare e la sutura della cute.
Ritengo che la chirurgia “mini-invasiva” non rispetti alcuno di questi requisiti per me fondamentali in quanto:
a) L'incisione chirurgica è piccola e tramite questa viene eseguita l'osteotomia alla cieca, generalmente con una fresa che crea lesioni periferiche e dei tessuti sottostanti; la cute subisce inoltre maggiori trazioni e traumatismi.
b) Le strutture vascolari, nervose e tendinee, non vengono viste dal chirurgo mentre la fresa lavora in profondità e, parimenti, i tessuti limitrofi all'osteotomia possono subire lesioni o sfilacciature. 
c) L'osteotomia viene effettuata con una fresa rotante che, anche se sottile, è più spessa di una lama e asporta una maggiore quantità di osso accorciando il metatarsale; il bunion (osso sporgente in eccesso) viene polverizzato dalla fresa e spremuto fuori attraverso il taglio, lasciando nell'interno numerosi detriti ossei; il taglio dell'osso è fatto inoltre sotto controllo radiologico e non sotto controllo visivo diretto e l'osteotomia ha una direzione generica e non finalizzata alla particolare dislocazione che si deve ottenere per un corretto riequilibrio.
d) La dislocazione dell'epifisi del 1° raggio viene fatta con delle manovre sull'alluce, molto traumatiche e che permettono solo di fare una correzione “dall'esterno”, senza che il chirurgo si possa rendere conto di quale è la reale situazione all'interno (la scopia intra-operatoria non permette di avere totale sicurezza su ciò che viene fatto) e senza certezze sul bilancio biomeccanico ottenuto.
e) Nella chirurgia mini-invasiva la stabilità dell'osteotomia e il risultato ottenuto sono affidati solo ad un bendaggio in iper-correzione, che ritengo non sia sufficiente a garantire il mantenimento della correzione ottenuta, oltre che ad essere abbastanza costrittivo e mal sopportato. In alcuni casi viene utilizzato come sintesi un KW (kirschner wires) percutaneo che sporge dall'alluce e penetra nell'osso; anche in questo caso ritengo ci sia poca stabilità, molti disturbi da intolleranza, maggiore facilità di sovra-infezioni e difficile gestione quotidiana. Attualmente alcuni chirurghi stanno facendo marcia indietro iniziando a eseguire sintesi con viti come nella chirurgia tradizionale.
f) Al termine di un intervento eseguito con la tecnica “mini-invasiva” o percutanea, il piede risulta molto più traumatizzato e tumefatto rispetto a quello su cui è stato eseguito correttamente un intervento tradizionale.
Tengo a precisare che il tempo di formazione del callo osseo rimane sempre di 30 giorni, anche nella chirurgia percutanea ed è concesso il cammino con scarpa a carico retro-podalico, esattamente come nella chirurgia “tradizionale”. Inoltre la guarigione e cicatrizzazione della ferita “tradizionale” generalmente non dà alcun problema e dopo pochi mesi è difficilmente visibile.
Questi sono alcuni dei motivi per cui non pratico questa metodica chirurgica che a mio parere non è un passo avanti nella chirurgia dell'alluce valgo, non ha vantaggi rispetto ad un intervento correttamente eseguito con le metodiche “tradizionali”, aumenta il rischio di insuccessi e viene proposto in modo ingannevole al paziente.
Nella mia pratica professionale è infatti sempre più frequente vedere esiti negativi, spesso drammatici e invalidanti, causati oltre che dalla diffusione di questa pratica chirurgica, a mio avviso imprecisa, anche dalla inesperienza di molti chirurghi che la praticano.

Dr. Alessandro Farnetti